Pause vuote

«Le parole possono riempire il vuoto, ma è il silenzio a dare significato.»

Eckhart Tolle

Qualche giorno fa, mi sono imbattuto in un video dello youtuber Arnaldo Pangia, ex interprete, linguista e traduttore che oggi si occupa di branding e comunicazione.

Nel suo video, Arnaldo spiega che una tecnica efficace per migliorare la propria comunicazione orale è quella di lavorare sui fisiologici episodi di pausazione durante l’eloquio, rimpiazzando le pause “piene” con il loro opposto, le pause “vuote”.

Quando parliamo, infatti, l’ansia di venire interrotti anzitempo ci porta sovente a riempire questi vuoti comunicativi con “lubrificanti del discorso” (avverbi come “sostanzialmente” o “praticamente”, ad esempio), fenomeni interiettivi (<eeh>, <ehm>, e simili), o anche solo “trascinando” il suono dell’ultima vocale o consonante di parola (allora<aa>, con<nn>, e via di questo passo).

Sarebbe però auspicabile (oltre che vantaggioso) imparare a domare quest’ansia, rimanendo in silenzio. Rispetto alle pause “piene”, infatti, le pause “vuote” migliorano la nostra comunicazione, rendendola più precisa, scorrevole e semplice da “digerire”.

Epifania

Orbene, queste considerazioni di Arnaldo mi hanno riportato alla mente la “Teoria delle Capacità” di Martha Nussbaum, della quale venni a conoscenza qualche anno fa, durante i miei studi universitari.

In questa teoria, la filosofa statunitense individua dieci capacità e funzioni umane fondamentali che, a suo dire, garantirebbero una vita umana dignitosa e realizzata.

Introducendoci alla teoria della Nussbaum, il nostro professore di Progettazione e Valutazione delle Politiche di Sviluppo ci sfidò ad indovinare quali fossero queste dieci capacità.

Le indovinammo tutte nel giro di qualche minuto. Tutte, tranne una.

«Ma come, ragazzi? A nessuno di voi è venuto in mente il gioco?», ci disse infine con un sorriso divertito.

No, a nessuno.

O meglio, figli della mentalità produttivistica della nostra epoca, già criticata da pensatori come Erich Fromm, Jean-Luc Godard o Herbert Marcuse, non riuscivamo a contemplare il gioco — peraltro inteso dalla Nussbaum come attività ricreativa fine a sé stessa, senza alcun obiettivo esterno o scopo pratico — come “funzione umana fondamentale”.

Me ne resi conto, e fu per me un’epifania: ricercare un giusto bilanciamento tra attività ricreative ed occupazionali — tra negotium otium, per dirla come gli antichi romani — non era solo una necessità, ma una pratica desiderabile, capace di contribuire, sempre secondo la Nussbaum, allo sviluppo della nostra creatività.

E allora, di tanto in tanto, concediamoci anche qualche pausa “vuota”, in cui sia solo la spensieratezza a farla da padrone.

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Pubblicato da Erich Fratter

Sono laureato a pieni voti in Scienze dei servizi giuridici e con lode in Relazioni internazionali, un corso di laurea magistrale incentrato sui diritti umani, sulla cooperazione internazionale, e sui processi sociali trans-nazionali. Il 12 settembre 2022, nel corso di una cerimonia ufficiale a Roma presso la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari, ho ricevuto il Premio America Giovani al talento universitario, un riconoscimento per i giovani neolaureati meritevoli delle università italiane promosso da Fondazione Italia USA.

2 Risposte a “Pause vuote”

  1. I agree, we should have more games and fun. What a shame we seem to leave much of it behind as we grow up! I wonder if the type of recreational activity matters. Are some better for our creativity than others? The type of “emptiness” I feel when playing outside is different from when I have fun playing videogames or being at a loud party. But perhaps this is just a matter of preference.

    1. Thank you for commenting, I appreciate it!
      In this respect, I am just like you. Engaging in physical activities as recreation (playing football, strolling, etc.) boosts my creativity much more than performing any other activities. The Ancient Romans were probably right when they said “Mens sana in corpore sano.” (“A healthy mind in a healthy body”).

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