«La guerra nello Yemen deve finire»: Biden ritira l’appoggio militare all’Arabia Saudita

La peggior crisi umanitaria nel mondo

Smantellata l’eredità politica del suo predecessore alla Casa Bianca a suon di azioni esecutive, Joe Biden, in occasione del suo primo discorso da presidente in materia di politica estera, ha speso parole importanti a proposito della tragica guerra civile nello Yemen, il cui scoppio risale ai tempi dell’amministrazione Obama.

Definita dalle Nazioni Unite “la peggior crisi umanitaria nel mondo”, la guerra nello Yemen ha provocato la morte — per cause dirette o indirette — di oltre 230.000 persone (fonte: Nazioni Unite, 2019), mentre ammontano a 16 milioni, complessivamente, gli sfollati interni e gli esuli in fuga verso altri paesi (fonte: BBC, 2021).

Le parole di Joe Biden

«Questa guerra deve finire», ha scandito l’attuale inquilino della Casa Bianca, durante la sua prima visita da presidente al Dipartimento di Stato.

«Gli Stati Uniti sospenderanno definitivamente qualunque forma di sostegno alle operazioni offensive nello Yemen, inclusa la vendita di armi», ha aggiunto l’ex senatore del Delaware.

«Washington», ha però precisato, «continuerà ad aiutare e a sostenere l’Arabia Saudita nella difesa della sua sovranità e del suo territorio».

Una breve panoramica della guerra nello Yemen, dal 2015 ad oggi

Un equilibrio delicato

La Repubblica dello Yemen, situata nel sud della Penisola arabica, è uno stato politicamente “giovane”, nato dalla fusione, il 22 maggio 1990, dei due stati yemeniti allora esistenti: la Repubblica Araba dello Yemen (o Yemen del Nord) e la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (o Yemen del Sud).

L’ex presidente dello Yemen del Nord, Ali Abdullah Saleh, venne scelto come presidente della neoistituita Repubblica, mentre il ruolo di primo ministro spettò all’ex presidente dello Yemen del Sud, Haidar Abu Bakr al-Attas.

Primavera araba, cambio al potere e minacce interne

Il governo di Saleh, dispotico e autoritario, giunse al capolinea solo molti anni più tardi, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, in seguito alla Primavera araba yemenita e alle pressioni esercitate nel nord del paese dagli Houthi, un gruppo armato affiliato allo Zaydismo, una setta religiosa inquadrata nello Sciismo, il principale ramo minoritario dell’Islam, che nello Yemen può contare sull’appoggio di circa un terzo della popolazione (a fronte dei restanti due terzi di fede sunnita).

Un conflitto sempre più globale

“Allah è grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli Ebrei, e vittoria per l’Islam”, recita il motto zaydista, dando un senso, di concerto con la presenza di Al Qaida nel sud del paese, all’intervento statunitense nel conflitto che, come già anticipato, è sfociato in una vera e propria guerra civile, coinvolgendo nel corso degli anni importanti attori geopolitici: l’Iran, paese arabo sciita, a sostegno dei ribelli Houthi, e l’Arabia Saudita, a maggioranza sunnita, a supporto del nuovo presidente yemenita Abdrabbuh Mansur Hadi, riconosciuto anche dall’Egitto, dall’Occidente (Stati Uniti in testa) e dai paesi che, assieme ai sauditi, fanno parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar).

Una improbabile alleanza

L’ex presidente Saleh, a dispetto della sua deposizione, continuò ad essere un attore di primissimo rilievo nel conflitto yemenita. Dal suo palazzo presidenziale, nel quale si era ritirato, strinse un’alleanza tanto clamorosa quanto improbabile con gli Houthi, la minoranza sciita che aveva costantemente discriminato e perseguitato durante i lunghi anni della sua tirannìa.

Perché questa improbabile alleanza? Perché il nuovo governo, guidato da Hadi, non aveva mantenuto la sua iniziale promessa di coinvolgere nelle sue scelte politiche le minoranze discriminate dal suo predecessore. In altre parole, Saleh e gli Houthi avevano trovato in Hadi un nemico contro il quale fare fronte comune.

E così, forte di questa nuova alleanza, Saleh riconquistò il controllo di buona parte del paese, e il presidente Hadi fu costretto a lasciare la capitale Sana’a, rifugiandosi dapprima ad Aden, nell’estremo sud del paese, e in seguito in Arabia Saudita.

La fine di Saleh

A questo punto Saleh decise di optare per l’ennesimo voltafaccia, passando nuovamente dalla parte dei Sauditi, sperando di poter vendere loro informazioni preziose sugli Houthi in cambio della presidenza, ora che lo Yemen si trovava nuovamente, di fatto, nelle sue mani.

Gli Houthi, però, non rimasero a guardare: la mattina del 4 dicembre 2017, Saleh fu ucciso in un attentato orchestrato dai ribelli sciiti.

Nonostante la morte di Saleh, però, i suoi soldati continuano ancora oggi a combattere al fianco degli Houthi.

Luce in fondo al tunnel?

Orfano del suo leader, il fronte dei ribelli appare oggi notevolmente indebolito. Una vittoria militare, però, servirebbe soltanto a nascondere le tensioni esistenti sotto un tappeto, senza affrontarle. E allora perché non giocare la carta della diplomazia, ora che i ribelli non reggono più il coltello dalla parte del manico?

E così Joe Biden, dopo aver ridiscusso i termini del supporto americano all’Arabia Saudita, ha voluto anche revocare la decisione di Mike Pompeo — Segretario di Stato durante l’amministrazione Trump — con la quale i ribelli Houthi venivano etichettati come “gruppo terroristico”: prove tecniche di de-escalation, volte a favorire un dialogo (mediato) tra le fazioni in guerra.

Ci sarà luce, in fondo a questo tunnel? Non rimane che auguraselo, con la speranza che un nuovo inizio sia davvero possibile, e che il sole possa tornare a splendere nei tormentati cieli del Medio Oriente.

per approfondire

  • Il video in cui il presidente Biden parla della guerra nello Yemen
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Pubblicato da Erich Fratter

Sono laureato a pieni voti in Scienze dei servizi giuridici e con lode in Relazioni internazionali, un corso di laurea magistrale incentrato sui diritti umani, sulla cooperazione internazionale, e sui processi sociali trans-nazionali. Il 12 settembre 2022, nel corso di una cerimonia ufficiale a Roma presso la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari, ho ricevuto il Premio America Giovani al talento universitario, un riconoscimento per i giovani neolaureati meritevoli delle università italiane promosso da Fondazione Italia USA.

2 Risposte a “«La guerra nello Yemen deve finire»: Biden ritira l’appoggio militare all’Arabia Saudita”

  1. Thank you for sharing with us your readers on such a crucial topic and one of which is an actual humanitarian crisis. You have eloquently and clearly elaborated on the issues at hand in Yemen. I appreciate the context and overview before you delved into the dilemma . I hope with the Biden era, peace and stability may ensue in the middle east. It’s been ongoing for far too long.

    1. Thank you for reading and commenting, Stephanie!
      I must confess that it hasn’t been easy to elaborate on such a complex (and complicated) geopolitical issue.

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